Tre dirigenti di Google sono stati condannati dal tribunale di Milano in quanto ritenuti responsabili della pubblicazione, nel 2006, di un video che mostrava quattro minori che insultavano e picchiavano un compagno affetto da autismo in una scuola di Torino.
Gli Stati Uniti, tramite l’ambasciatore a Roma, hanno espresso preoccupazione per una sentenza che, a dire loro, va a minare il principio fondamentale della libertà di Internet.
Questa vicenda, insieme a quella recente che ha riguardato la creazione di un gruppo su Facebook contro i bambini down, alimenta la ricorrente discussione su dove finisca la libertà, sacrosanta, del Web, e cominci il diritto alla tutela della dignità e dell’immagine di ogni singolo individuo.
Il dubbio è che, in nome della libertà di espressione tipica di Internet, come dovrebbe esserlo anche di stampa e tv, spesso ci si arroghi il diritto di poter effettuare commenti e gesti lesivi della reputazione altrui, nel nome di una censura la cui applicazione non dovrebbe mai essere necessaria, ma a che a volte può arrivare a compensare l’ignoranza e il cattivo gusto di alcuni utenti.
Secondo il mio personalissimo parere, la libertà di questo potente mezzo va difesa nel momento in cui viene minata da governi oppressivi; per permettere a nefandezze come quelle successe in Iran o in Tibet di non essere messe a tacere da persone che hanno ogni interesse a nascondere i soprusi compiuti sulla popolazione. Difficile invocare lo stesso diritto alla libertà quando ad essere colpita è la stessa dignità che nel primo caso si sta cercando di tutelare.
Dobbiamo anche considerare il fatto che, in realtà, non è stato Google ha pubblicare il video ma un suo utente. Google fornisce solo il servizio, i responsabili delle pubblicazioni dovrebbero essere gli stessi utenti.
Siamo sicuri che questa sentenza farà discutere a lungo.